lunedì, febbraio 07, 2011

Nichilismo e Cabala

Perdita dei valori, crollo degli ideali, mancanza di senso, negazione di una realtà o di una finalità ultima dell'esistenza, "morte" di Dio. Queste e altre le caratteristiche di una corrente di pensiero, filosofica, ma anche profondamente esistenziale, che va sotto il nome di "nichilismo". Molto si potrebbe argomentare e studiare sulla sua origine: il nichilismo dei romanzieri russi dell'Ottocento, Turgenev, Dostoevskij, quello filosofico di Nietzsche e poi di Heidegger. Si potrebbe ricercare l'origine del nichilismo ancora più indietro nella storia del pensiero, per esempio i suoi  primi segnali qualcuno li rintraccia addirittura fra i sofisti dell'antica Grecia. Altrettanto si può ritrovarlo nel XX secolo e nell'epoca attuale, interpretandolo come una malattia, una deriva dello spirito umano - così come, almeno in parte, faceva lo stesso Nietzsche - qualcosa alla quale bisognerebbe reagire, ritrovando vitalità, nuovi ideali ed eroico coraggio. In effetti, personalmente, sento e leggo spesso le cosiddette autorità - specie in ambito morale e religioso - tuonare contro il nichilismo e il relativismo come due facce della stessa demoniaca medaglia, che consisterebbe essenzialmente nella negazione dei valori tradizionali allo scopo di essere liberi di far tutto, senza più freni etici. Tale libertà negativa e negatrice di valori qualcuno la ritrova perfino nel Sessantotto o addirittura nella Rivoluzione Francese, forse generalizzando troppo e dimenticando che quei movimenti erano proprio partiti dalla convinta affermazione di valori etici e ideali cui sacrificare finanche la vita! Al di là della demonizzazione del nichilismo, nessuno si occupa delle sue motivazioni, del perché della sua insorgenza e diffusione. Si spendono tante parole per sottolineare la crisi che esso genera, ma nessuna per comprendere la crisi da cui esso stesso è generato. Poiché si parla del nichilismo come di una patologia della filosofia occidentale, mi viene in mente che proprio nella cosiddetta Tradizione Occidentale esiste una corrente che non è poi troppo diversa da questa "filosofia del nulla", ed è il cabalismo ebraico. Proprio nel misticismo ebraico, infatti, si ritrova il concetto di Dio in termini di Esistenza Negativa, cioè di qualcosa di cui nulla si può dire, perché al di là delle categorie del conosciuto, del pensiero. Certo, questo concetto è piuttosto diverso dal nichilistico dire che non esiste nulla, o che esiste soltanto il nulla. Però secondo me una relazione c'è. Mettendo, infatti, da parte per un momento la valenza distruttiva del nichilismo e cercando di considerarne le motivazioni profonde, quelle meno esteriori, direi che esso si configura come una reazione al dogmatismo filosofico-religioso, alla rigidità etica, al fanatismo, al potere esercitato sulle coscienze. Esso, sostanzialmente, si oppone a chi pretende di sapere e vuole imporre ad altri la sua presunta conoscenza con pretesti di vario tipo, etico e gnoseologico, mentre sulla realtà ultima delle cose non si sa assolutamente nulla! Sempre nella Cabala di parla di Qelippoth, cioè di gusci che ricoprono la Vita e cercano di cristallizzarla in schemi, concrezioni di pensiero ed egoici prodotti della cecità umana. La Vita è un fiume che non può essere contenuto in una palude o uno stagno. E' giusto e umano concettualizzare, farsi un'opinione, seguire una regola, ma quando tutto ciò diventa soltanto restrizione e strumento di potere, è allora che si formano le Qelippoth, è allora che il potenziale vitale va sprecato - la cabbalistica rottura dei vasi, con spargimento dell'acqua di vita e inaridimento delle coscienze. Ecco, secondo me, quando questo accade l'unica rivoluzione possibile, l'unica restaurazione della Vita - per la Cabala, Tikkun - passa per la negazione. In quest'ottica il vero significato del nichilismo filosofico può accostarsi all'intendimento della Cabala ebraica quando suggerisce che il divino non sta nelle categorie conosciute e si può avvicinarlo soltanto attraverso una negazione. Non solo: poiché i prodotti alti dello spirito umano si assomigliano tutti, in qualsiasi cultura e a qualsiasi latitudine o epoca si manifestino, il nichilismo occidentale ha profondi punti di contatto anche con il cosiddetto nichilismo buddhista e taoista. Naturalmente la negazione fine a sé stessa, quella autodistruttiva, è una esagerazione e anche una dimostrazione della confusione della nostra epoca, che ancora non ha pienamente trovato la sua identità. Però il fatto che si sia stati in grado di superare precedenti dogmatismi non è un male, anzi, e non significa che a quelli bisogna ritornare per recuperare i valori profondi. Se vogliamo recuperare dei valori, cominciamo a ritrovare quelli insiti nel nichilismo, che è nato per una sua ragione intrinseca, quella di farsi delle domande, di pensare liberamente, di agire oltre limiti, ideologie e regole non più vitali ma oscurantistiche, ridotte a Qelippoth, gusci privi di sostanza. Non dimentichiamo che la Rivoluzione Francese fu probabilmente ideata e sostenuta dalla Massoneria (non deviata), che aveva una buona conoscenza della Cabala e che propugnava valori universali come quelli del motto Liberté, Egalité, Fraternité... 

venerdì, luglio 31, 2009

L'Opera al Nero




Nella Tradizione alchemica viene descritta una fase dell'Opera in cui avviene una dissoluzione, separazione e putrefazione che, per analogia, può rapportarsi alla morte del corpo fisico. L'idea è che, nel dissociare il Mercurio nei suoi vari aspetti (la componente psichica) dal corpo, l'alchimista vada incontro a questa nigredo, questa sorta di oscuramento interiore ed esteriore; soltanto continuando ad operare nella stessa direzione potrà esservi un rinnovamento, per così dire una nuova alba, un ritorno della luce - ma ad uno stadio di consapevolezza superiore. I tradizionalisti come Evola, Reghini eccetera, sono convinti che il simbolismo alchemico - così intricato, ricco ed ermetico anche nel linguaggio, non possa interpretarsi né in senso spiritualistico-religioso, né in senso psicologico o psicanalitico. Essi pensano che tale simbolismo divenga correttamente comprensibile soltanto nella chiave che gli compete: quella iniziatica. In altre parole la Grande Opera non sarebbe tanto una metafora immaginifica, quanto una serie di indicazioni e descrizioni precise e concrete di quanto avviene nel percorso d'iniziazione, dove lo Spirito, l'Anima e il Corpo sono realtà precise, perfettamente conoscibili e sperimentabili. Tuttavia è anche vero che ogni espressione simbolica si presta ad un indefinito numero di interpretazioni, in dipendenza della sensibilità, della cultura e della consapevolezza di chi osserva. Quindi, senza voler assumere il rigore iniziatico dei tradizionalisti, ritengo di poter fare comunque alcune riflessioni al riguardo, sperando di non distorcere troppo il loro punto di vista! Per ciò che attiene l'Opera al Nero che, come abbiamo già detto è connessa con la morte e anche - ad un livello meno definitivo - con lo stato di sonno, si dice che l'iniziato sia capace di attraversarne le varie fasi da vivo e in piena coscienza. Ciò che sarebbe un evento naturale ma vissuto passivamente, la morte fisica vera e propria, diventa per l'alchimista un processo attivo e relativo alla sua trasformazione interiore. Possiamo osservare che la dissociazione consapevole degli elementi sottili e interiori da quelli grossolani e fisici è, in fondo, un processo di liberazione. Qual è il significato di tutto ciò per le persone comuni, per la nostra vita di tutti i giorni? O dobbiamo rassegnarci a pensare che il senso di queste meravigliose osservazioni interiori degli alchimisti sia riservato a pochi iniziati, e non abbia legame alcuno con chi - pur volendo affrontare un percorso autoconoscitivo - vive una vita normale? Francamente, mi si perdoni l'ardire, io penso che chi persegue un cammino introspettivo pur rimanendo un individuo comune è forse più meritevole di chi si ritira ad altezze inarrivabili o si rinchiuda in inaccessibili eremi sia reali che metaforici. Il merito sta nel fatto che egli non divide fra esperienza spirituale e esperienza del "mondo", considerandole due versanti della stessa realtà che devono essere riconciliati, ricondotti all'unità (sempre esistente oltre le apparenze). Il discorso, veramente, sarebbe lungo e complesso, però per ritornare all'"Opera al Nero" direi che essa abbia, oltre il velo simbolico e il linguaggio ermetico, il senso del confronto con la morte, la difficoltà, la sofferenza. Tutto il processo di macerazione interiore, di riflessione e di cambiamento che il confronto con il dolore produce è "Opera al Nero": quando manca la speranza, quando sembra non esserci alcuna via d'uscita. In quella situazione il conservare la fede, il coraggio, la compassione e, se possibile, la gioia di vivere, corrisponde a quella separazione fra elementi sottili e grossolani, alla liberazione del Mercurio (psiche) dal regime di Saturno (esperienza dolorosa, difficile) e alla sua ignificazione (presa di coscienza positiva, determinazione) per mezzo dello Zolfo (vero io, componente spirituale, individualità). Questa alchemica trasmutazione è qualcosa che tutti noi siamo chiamati a fare, e dal suo esito dipende effettivamente la nostra realizzazione di esseri umani.

giovedì, agosto 23, 2007

Libido e Shakti


Con riferimento al mio ultimo post rilevo la possibilità di un ulteriore e sorprendente "gioco" cabalistico. La parola sanscrita Shakti descrive piuttosto bene il concetto di Libido come energia universale indifferenziata, in grado di assumere molte forme. La Shakti è sia questo tipo di forza vitale, sia la compagna del Dio Shiva - la sua "energia materiale". Notiamo subito, da cabalisti, la curiosa assonanza fra il termine indiano Shakti e quello ebraico Shekinah - che pure allude all'energia divina, alla misteriosa presenza di Dio nella creazione. Abbiamo già analizzato come il valore di Shekinah, utilizzando un sistema gematrico di associazione fra lettere ebraiche e numeri, sia 51. Ebbene, utilizzando la stessa metodologia con l'alfabeto sanscrito, abbiamo che Shakti (Sh+a+k+t+i = 30+1+1+16+3) incredibilmente corrisponde allo stesso valore numerico di 51!

giovedì, giugno 28, 2007

Libido.







Come Freud insegna, la libido è elemento essenziale della psiche. E' energia psichica indifferenziata, che può prendere diverse forme. Freud talvolta la identifica con il desiderio o l'istinto sessuale, ma non sempre. Jung pensa che la libido prenda tanti aspetti quanti sono gli impulsi e i desideri. Sì, perché dal latino "libère", "libido" significa proprio desiderio ed è connessa con il piacere. In alcune lingue occidentali si lega etimologicamente anche all'amore, come per il tedesco "lieben". In greco è "liptein", appetire, desiderare; in Sanscrito è "lubhyati", ancora "desiderare". Sembra ci sia anche un legame con "libero", che ha la stessa radice "lib-", "lub-", con il senso che chi è libero può fare quanto gli piace. Nella Cabala c'è un concetto che può avere un rapporto con la libido, ed è quello di Shekinah - la Presenza Divina. Questa è una sorta di forza, di energia divina esiliata in questo mondo, e qualche autore la equipara alla Kundalini indiana, l'energia del serpente simbolico che dorme alla base della spina dorsale. Allo stesso modo la Shekinah è nascosta e velata nel Malkuth, la dimensione "terrena", materializzata dell'esistenza. Può essere risvegliata, e può manifestarsi risalendo l'Albero della Vita cabalistico e ripristinando la comunicazione fra Cielo e Terra, così come la Kundalini risale la spina dorsale dello Yogi e risveglia la Coscienza. Per Freud, ad un livello psico-fisiologico, la libido è una forza potente che muove la vita e, sublimata, può produrre ogni genere di realizzazione psichica umana, anche le più alte. Tuttavia abbiamo già fatto l'ipotesi che, sia pure inconsciamente (!), Freud recuperasse antiche idee appartenenti alla cultura ebraica, al suo DNA spirituale - se così si può dire, per riproporle in termini medici, scientifici e analitici. Un'altra particolarità: utilizzando il sistema mistico-cabalistico della Gematria che consiste nel dare valore numerico alle lettere dell'alfabeto, e in particolare il metodo Thesis in cui la numerazione delle lettere è progressiva e secondo l'ordine naturale, la parola "libido" ha valore numerico di 51. Utilizzando le lettere ebraiche per la parola Shekinah, in particolare per le lettere radicali sh-k-n-h, il valore è ancora 51! Ciò sottolineerebbe l'intrinseca identità dei due concetti. Inoltre 5 + 1 = 6, numero in relazione con l'unione degli opposti (i due triangoli del sigillo salomonico) e con la sessualità. Magia della Cabala!

martedì, gennaio 30, 2007

Un grande cabalista.




Più ci penso e più me ne convinco: Freud è stato l'ultimo grande cabalista conosciuto, il più recente e originale maestro della tradizione ebraica - come Abulafia, come Luria, come Nachmanide - colui che è stato capace di tradurre la cabala in linguaggio e concezioni moderne, scientiste, senza mai veramente deformarla o tradirla. Assurdo? Troppo azzardato? Si, può darsi. Però è un'idea intrigante, almeno per me, e non è del tutto peregrina: analisi dei sogni, dei lapsus - quindi delle parole, dei numeri, delle lettere... non è questa la forma mentis tipica dell'ebreo cabalista? Forse non è cabala perché l'obiettivo dichiarato è la psicanalisi, e non il classico "tikkun", la reintegrazione, l'unione con Dio? Però il risultato della terapia psicanalitica è comunque una sorta di integrazione, di restaurazione di una unità principiale, di un senso di completezza analogo - per quanto possibile - alla integrazione fra realtà (il mondo assiahnico della cabala) e interiorità, cioè l'esperienza primaria dell'unione con il corpo della madre, all'inteno dell'utero (mondo archetipale, atziluthico). E la presunta o reale "monomania" con la quale Freud faceva della Teoria della Sessualità la sua unica e principale bandiera, il suo assunto di base, non è forse una sorta di "monoteismo"? Già Jung, profondamente ariano, ha una concezione psicologica molto più articolata e cangiante - oserei dire politeista, dove il Pleroma, l'Unità, risulta dalle infinite differenziazioni e non da una granitica mono-tematicità: e forse proprio qui sta la maggiore diversità fra i due geni della psicologia. Non dico che Freud fosse un cabalista intenzionale, anche se fu sempre molto vicino alle Logge Ebraiche: sarebbe davvero pretendere troppo. Però lo fu nella sostanza, probabilmente suo malgrado, proprio perché profondamente - direi "geneticamente", ebreo. E' per questo che credo sia molto interessante cercare di trovare nelle teorie freudiane i concetti cabalistici da cui potrebbero originare o con i quali potrebbero avere una relazione.

mercoledì, giugno 07, 2006

Cabala e trasformazione.



Aggiungo, con questo blog, un altro argomento ai tanti già frequentati con gli altri miei siti. D'altra parte si tratta dei diversi aspetti della mia ricerca e, sebbene essa abbia e abbia avuto molteplici interessi, la mia impressione è sempre stata quella di seguire un cammino unitario. Della Cabala non ho un'esperienza tradizionale ebraica, però me ne sono interessato parecchio in una chiave che posso definire "New Age", abbastanza in linea con gli autori della Golden Dawn e altre moderne elaborazioni risalenti soprattutto alla fine del XIX e all'inizio del XX secolo. Gli studiosi seri di queste cose - storici, saggisti, certi tipi di esoteristi - certamente non approverebbero. Eppure il bello della Cabala è che si tratta di un sistema flessibile forse proprio nelle intenzioni di chi lo ha formulato, molto adatto alle speculazioni filosofiche e religiose e alle elaborazioni personali. In realtà credo che esistano tante Cabale quanti sono i cabalisti, tutte legittime - e non credo di sbagliare almeno in questo, credo che i veri cabalisti sarebbero su questo punto d'accordo con me. Questo aspetto mi è sempre piaciuto nel sistema di corrispondenze che è il cosiddetto Albero della Vita: cioè quello di riuscire ad unire uno schema stabilito, tradizionale, conservatore, alla possibilità di rinnovarlo continuamente, di renderlo flessibile secondo la propria esperienza interiore e la propria intuizione. Anzi, sembrerebbe proprio una tecnica - quella della meditazione sull'Albero - per riuscire a colloquiare con i simboli, con le immagini archetipiche e, soprattutto, con la propria essenza, con la propria dimensione intuitiva nel senso alto. Per questo motivo la Cabala, secondo me, non può mai essere tradizionale nel senso della conoscenza, del sapere acquisito. Può senz'altro esserlo come tecnica, come strumento, ma soltanto a patto che lo si usi, che lo si applichi, che lo si attualizzi continuamente e lo si rinnovi.